La Sicilia non è stata in grado di garantire una corretta gestione dei fondi europei ricevuti nell'ambito della Politica di Coesione e un sistema di controllo efficace della spesa. La Corte di Giustizia europea conferma così la sentenza del Tribunale UE che aveva già bocciato il ricorso dell'Italia nel gennaio 2018.

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I rilievi di Bruxelles

La vicenda ha avuto inizio nel 2015, quando la Commissione europea, cui spetta verificare la regolarità della spesa a carico dei fondi UE gestiti dagli Stati membri e dalle Regioni, ha avviato una serie di audit ex post sulle risorse assegnate alla Sicilia nel settennato 2000-2006, pari ad oltre 1,2 miliardi di euro tra fondi strutturali e cofinanziamento nazionale.

Diverse le carenze e le irregolarità riscontrate da Bruxelles e in alcuni casi accertate anche dall'Organismo europeo antifrode (OLAF), dal finanziamento di progetti presentati oltre la scadenza dei termini alla mancanza di qualifiche da parte dei consulenti esterni, dalla presentazione di giustificativi di spesa non coerenti con i progetti alla violazione delle procedure in materia di appalti.

Da qui la decisione dell'Esecutivo comunitario di ridurre i fondi UE destinati alla Regione per un importo di circa 380 milioni, poi contestata dall'Italia.

Confermato il taglio dei fondi UE

Dopo la bocciatura del ricorso lo scorso anno, Roma ha impugnato la sentenza presso la Corte di Giustizia dell'Unione europea, che oggi ha confermato le valutazioni del Tribunale e respinto integralmente il ricorso italiano.

L'Italia, infatti, secondo i giudici, non è stata in grado di dimostrare eventuali errori da parte della Commissione europea, né di smentire le irregolarità di carattere sistemico nella gestione dei fondi UE.

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